Gianni Giolo
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ILVO DIAMANTI

“SILLABARIO DEI TEMPI TRISTI”

Sabato 24 ottobre il politologo vicentino Ilvo Diamanti, sociologo della Sorbona e dell’università di Urbino, saggista e collaboratore del quotidiano “La Repubblica”,  ha presentato, alla chiesetta San Giacomo, gremita all’inverosimile,   insieme con Gianfranco Bettin, già pro-sindaco del comune di Venezia e autore di numerosi saggi quali “L’erede Pietro Maso”, “Una storia dal vero” e “Sarayevo maybe” e Massimo Cirri, psicologo e autore di opere teatrali, ma conosciuto soprattutto come conduttore della trasmissione radiofonica di Rai 2 “Caterpillar”, il suo ultimo libro “Sillabario dei tempi tristi” (Feltrinelli, euro 13,50). Il sociologo  è stato presentato dall’ex assessore Matteo Quero, che ha illustrato le finalità delle iniziative “Ottobre piovono libri a Campo Marzo”:  dopo l’omaggio a Meneghello e Piovene, ora l’attenzione si sposta sui “Sillabari” di Goffredo Parise,  a cui si ispira, il “Sillabario dei tempi tristi” di Diamanti, che ha ricordato l’opera omonima del suo maestro e  docente di filosofia  Giuseppe Faggin. Quero ha invitato Achille Variati a presentare il sociologo e il sindaco ha evidenziato il gran numero di vicentini affluiti per ascoltare il famoso giornalista che scrive su Repubblica.  Il sindaco ha definito il sociologo un “cittadino del mondo”,  che si vede poco a Vicenza,  e lo ha invitato a non “rassegnarsi” e a continuare la sua battaglia per la cultura. ”Non mi rassegno – ha risposto Diamanti – anzi mi emoziono davanti a questa massiccia presenza di vicentini, che in un pomeriggio di sabato hanno lasciato i loro impegni per venire a sentir parlare di cose,  in apparenza tristi, dato che l’argomento è la presentazione del mio libro “Sillabario dei tempi tristi”, libro che  mi sono costruito nel corso di questi ultimi anni. Io ho sempre visto che questa città,  quando proponi cose di qualità, risponde con grande partecipazione. In questo mese, che ho dedicato alla presentazione del libro, ho trovato in tutta Italia  grande interesse e  grande partecipazione, come a Torino, a Bologna, dove sono stato presentato da Romano Prodi. Io che scrivo sui giornali da tanti anni, mi trovo a intrattenere un dialogo con interlocutori silenziosi, che non ti sentono, ma in realtà li senti, tanto è vero che poi ti misuri con loro e, in certe occasioni, come questa, emergono, escono allo scoperto  e si fanno vedere e tu ti accorgi che sono molto di più di quelli che tu immaginavi. Io parlo raramente a Vicenza e non amo comparire in pubblico, perché a Vicenza ci sto, ho la mia famiglia, e quando ci vivi coltivo le mie passioni civili e preferisco la mia vita familiare e stare in silenzio, se possibile, anche se per me è difficile stare in silenzio. Questo Sillabario è una cosa molto diversa da tutte le altre opere, che sono saggi scientifici, che ho scritto per  Il Mulino, che è un editore di nicchia. E’ il mio primo libro non specialista. Non è una raccolta di articoli, come può apparire, ma è dipeso dalla mia decisione di parlare di me stesso, di rivelarmi dentro, e di scrivere dei pezzi, proprio in funzione di questo Sillabario. Negli altri libri io cerco di essere fuori da quello che scrivo, perché mi occupo di questioni politiche e sociali, qui no, qui cerco di essere me stesso e in questo seguo Parise, che ha  definito i suoi Sillabari poesia in prosa, mentre io qui non scrivo poesie, ma le mie indagini in prosa”.

Nell’introduzione del libro Diamanti spiega più dettagliatamente la sua visione “triste” del mondo contemporaneo: “In questo libro – scrive il politologo – io sono proprio Io. Spogliato dalle (auto)difese scientifiche, dalla pretesa di essere rigoroso e distaccato. Visto che l’oggetto di (auto)analisi, in questo caso, sono apertamente ed esplicitamente io. Insieme al mio mondo. Alle mie relazioni con il mondo, con gli altri, con la politica, con la società. Sono gli scritti, dove trova spazio il mio banale quotidiano. I ricordi, il rapporto difficile con il territorio, sfatto e inconoscibile, i cellulari gli sms, le notti bianche, gli alberi di natale che scompaiono, le rotatorie che ossessionano i miei percorsi in auto e in bicicletta, gli studenti che non mi fanno invecchiare. E ancora, i miei luoghi: Caldogno, Urbino, Parigi. Qualche (raro) momento di indignazione civile e personale. Senza nascondere i miei stati d’animo. I miei sentimenti. In fondo,  chi può stabilire se questi tempi siano o meno tristi? Ovviamente: chi li vive. Chi li attraversa e li valuta. In questo caso, la mia tristezza dipende e deriva dalla mia difficoltà ad accettare quel che mi avviene intorno. Faccio fatica e anzi non riesco a riconoscermi in questo territorio informe, in questa plaga immobiliare per me senza senso; dove le relazioni personali sono povere e rarefatte, dove le persone si chiudono e si isolano, comunicano attraverso i cellulari, internet, i social network, dove le paure sono le lenti degli occhiali con cui guardiamo gli altri e il mondo, dove il mondo e gli altri arrivano nelle case e agli occhi delle persone attraverso i media, dove la politica è antipolitica, dove i partiti non sono più idee e associazioni ma leader e oligarchie, senza idee e senza associazioni; e vivono a pieno tempo nei telesalotti. Fatico a orientarmi dove gli stranieri appaiono nemici, dove anche gli altri appaiono nemici. Perché tutti diventano stranieri – e potenzialmente nemici, altri da noi – in un mondo e in un territorio che non conosciamo e in cui non ci riconosciamo. Per questo ho – e forse, abbiamo – bisogno di bussole. Per procedere e orientarsi nella nebbia, cognitiva ed emotiva, prodotta dal nostro tempo. Almeno ai nostri – miei – occhi”.

Gianni Giolo

 

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