Gianni Giolo
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GIOVANNI COSTANTINI

GIOVANNI COSTANTINI: IL PIU’ GRANDE POETA ITALIANO.

“STELLA MATTUTINA” GLI  ULTIMI VERSI ALLA MADONNA.

 

Secondo la stampa cattolica (L’Avvenire, Letture, Studi Cattolici ed altre riviste) unanimemente don Giovanni Costantini è ritenuto il più grande poeta italiano. Ha scritto più di quaranta  opere e vive nel seminario di Vicenza nascosto a se stesso e agli altri. Scrive Raffaele Crovi (“Avvenire”del 1992) che Costantini è “Il Dante redivivo della letteratura italiana, il più grande poeta d’oggi che ha trasformato la teologia in poesia”. Alla sua poesia si può dire, come per Dante, che “ha posto mano e cielo e terra” e il critico Ferruccio Mazzariol così ha scritto: “Il risultato della poesia di Costantini è la martellante magnificenza, un Corpus Domini trinitario, una lucentezza adorante di vetrate ecclesiali, una letizia picaro-evangelica”. E cita i suoi versi di prete che si definisce “accattone di lode / esalo a Te. / Oh Verbo / Verbo eterno / figlio prodigo / che mi trapassi il fianco”. Alla sua opera – continua il critico – “hanno posto mano sotterraneamente, ma, in un assoluto proprio, i profeti ebrei, un’ispirazione apocalittica, la contemplazione benedettina, la mistica carmelitana, l’antropologia, la forma mentis tomista, attraversata però dalla creatività teologica di Duns Scoto, la poesia metafisica inglese, l’imagery cristica e dolente di Rouault, la vetrata regale e delicata di Chagall e ancora Jacopone da Todi, Gongora, i pitocchi spagnoli rivisitati alla luce limpida e gaia del vangelo, Hopkins, il poeta più sperimentale della letteratura inglese, Eliot, l’autore del Canto di Simeone, il primo Saba, Palazzeschi, poeta funambolo, Ungaretti, gli interni quotidiani di un Moretti più pronto e vivace e naturalmente Mario Luzi e forse Rebora”. In pratica in Costantini si condensa e si celebra tutta la teologia, la filosofia, la poesia religiosa italiana da Jacopone da Todi fino ai nostri giorni. Come diceva Eliot,  la poesia veramente originale non può non iscriversi nella tradizione religiosa del suo tempo. Pasquale Maffeo, nell’Avvenire del 1992, lo definisce “prete insonne fino alla consumazione fisica, personaggio vitalissimo, mobile, aggiornato del bene e del male del mondo, e insieme estraneo, salpato giorno e notte a una celeste navigazione, attratto da altissime sfere. E’ professore di Lettere in seminario, curatore d’anime consacrate, animatore di un singolare almanacco vicentino e, insieme, frequentatore quotidiano delle Scritture, assiduo lettore di teologia, trepido alunno del divino, un po’ alla macchia, come accade a chi non cerca il plauso, non cerca l’aureola di poeta, ha pubblicato un decimo solamente di quello che ha scritto. Ma la massa  inedita delle sue poesie è sterminata, raccolta in quaderni manoscritti e dattiloscritti, è là nell’armadio accanto al letto in seminario”. Costantini si confessa al Maffeo: “Sono nato a Treviso per caso, nel 1936, e vi rimasi fino a quattro anni. Poi andai a vivere coi nonni a Sandrigo, il paese dei miei. Là, fino a dieci anni, conobbi le gioie dell’infanzia, imparai ad amare le persone e la terra, le feste, le stagioni, i lavori contadini. Mio padre calzolaio era il poeta del paese”. Costantini parla spesso, nella sua poesia, dell’infanzia. “Per me – continua – l’infanzia è un inesauribile serbatoio, un pozzo di sentimenti, fantasie, sensazioni, intuizioni. Nel mio affettivo, remoto e presente, l’infanzia significa anche sacralità contadina, coi i suoi quattro elementi: aria, acqua, terra, fuoco, con le sue quattro stagioni, con i suoi ritmi, le sue presenze. Da ragazzo, uscito da scuola, passavo i pomeriggi nei campi. Ogni anno torno nelle campagne di Sandrigo a ritrovare la terra, gli animali, l’odore della stalla. Tutto questo, in maniera a volte conscia a volte inconscia, passa nel mio diario”. Maffeo poi gli chiede: “Come accade, nella tua officina, che la teologia diventi poesia?”. E don Costantini risponde: “Tutta la mia esperienza umana diventa per me teologia e tutta la teologia diventa per me preghiera. Io prego attraverso la teologia.  Dicono che si dovrebbe studiare teologia in ginocchio, oppure che vale più un atto d’amore di Dio che una poesia, ma le mie poesie contengono centinaia di atti d’amore di Dio”. Nella poesia di don Giovanni si trova anche una fortissima componente di scrittura sperimentale, esasperatamente moderna, come nella poesia di Rebora che violenta la parola, ricorrendo a immagini inedite, all’angolosità del verso che s’inarca, si contorce, quasi in uno spasimo, per esprimere realtà ultrasensibili e metafisiche. “La teologia – dice don Giovanni – è materia che non solo sopporta ma dà scatto e scacco a tutte le possibili oscurità e violenze verbali. Dio  in sé accoglie, redime, concilia gli estremi. L’ispirazione teologica cerca e provoca il nuovo”.  Si accusa spesso Costantini di essere incomprensibile e oscuro. E lui risponde: “E’ un problema che il poeta non deve porsi. La poesia per me è preghiera, un faccia a faccia con Dio.  Ciò che conta è che  la mia posizione sia sincera, autentica, vera. La parola poi esplode come esplode, magari oscura per il lettore. La poesia è irrepetibile”. Quando si affronta una poesia così complessa e difficile come quella di don Costantini ci si deve porre questa domanda: Costantini è più poeta o mistico? In lui prevale la passione umana per la teologia o la teologia in lui prevale e soffoca la poesia?  Oppure assistiamo a una fusione, a un’armonia, a una compenetrazione perfetta e dinamica, come in Dante, fra poesia e teologia? Costantini è nello stesso tempo poeta, mistico, teologo, anacoreta, monaco benedettino, intimo più a Dio che agli uomini, un  San Giovanni del deserto che si ciba di locuste e di miele selvatico, in cui la parola è sublime poesia che si avvicina sempre più a Dio e si allontana sempre più dagli uomini.  Egli si innalza verso Dio, vivendo in un deserto interiore con Lui, e vede, sotto la luce divina, sub specie aeternitatis, il mondo e gli uomini. Per esprimere la sua ascesa verso Dio il poeta si avvale di una lingua nuda, scabra, essenziale, glabra, spoglia, breve, concisa, dirupata, scoscesa, incisiva e, in una parola, mistica che non si cura del labor limae, della ricerca della parola culta e preziosa, vergine  e incontaminata. Costantini ha detto al critico Zaccuri (Avvenire del 2004): “Non scrivo mai di getto. Ci ragiono sopra., consulto il mio schedario, preparo il telaio della composizione. Quando ho tutto pronto inizio a scrivere. E torno ad essere completamente libero. Io scrivo poesia didascalica, versi che nascono da un corpo a  corpo con la Scrittura. Mi piace pensare a me stesso come doctor poeticus”. E, in un’altra intervista ad Avvenire del 2007,  insiste: “Ogni mia parola vuole essere nativa, crocifissa, risorta, redenta e beata. In ogni parola c’è tutta la mia vita, nel suo intimo, che tutta palpita dentro la storia della salvezza”.

E veniamo alla sua ultima raccolta poetica “Stella Mattutina. Versi a Nostra Signora”. Il libro è dedicato allo  storico don Ermenegildo Reato che scrive “Un grazie affettuoso all’amico poeta don Giovanni Costantini che mi offre queste pagine dedicate alla “Stella Mattutina”, Stella del mio mattino, primo e ultimo, che annuncia il Giorno senza tramonto, da me atteso con trepidazione e fiducia nella bontà infinita di “Colui che volentier perdona”.  Qui la Madonna è dipinta mentre  si gode e si culla il suo Bambino divino: Con il tuo naso / strofini in parte quello di Dio Bambino. E Lui, Dio, La cercava, piccola, umile, nascosta, ascosa, a cullare il Bimbo-Jesus Nazarenus Rex Iudeorum: Ce lo indormenti sul letto della Croce. Nascoste Tu e la tua Maternale gratuità, che – come pioggia – avete benedetto la Terra: Piovi il Messia, / Lo allatti. / In questo luogo Bianco della Teologia / vuole succhiare dalla Nostra Razza / Iddio per vivere.

Tutta la raccolta non vale questa sola poesia-preghiera alla “Stella Matutina”: “Deve tornar la sera: accetto l’esodo. / Ma all’orizzonte di ogni mia notte in sabbia / tu fedele balugini di già. / Unica porta del mio faccia a Faccia: / mi ammicca voluttà del contemplarLo. / Ma poi si cela sul mio specchio spento. / Oh Madre Cella, Mattutina Stella!”.

 

Gianni Giolo

G. COSTANTINI, Stella Mattutina, Tipografia Esca 2008, senza prezzo

 

 

 

Gianni Giolo