Gianni Giolo
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ANTONIO GIURIOLO

IL MITO DI UN EROE

E’ possibile dire qualcosa di nuovo sulla figura di Antonio Giuriolo? Questa domanda  fu posta da Renato Cimurri, dell’Università di Verona,  a Luigi Meneghello, che, nei “Piccoli Maestri” e nei “Fiori Italiani”, aveva innalzato un monumento imperituro alla figura del grande vicentino,  morto nella lotta partigiana il 12 dicembre 1944 combattendo sulle montagne dell’Appennino bolognese all’età di 32 anni. La risposta del grande scritture di Malo era stata negativa. No, dopo quello che aveva scritto lui, non c’era più niente da dire. Lui aveva detto tutto quello che c’era da dire. Renato Camurri però ha voluto proseguire negli studi di questa grande figura di patriota e di antifascista per  scoprire aspetti inediti della sua personalità. Nel giorno in cui è ricorso il sessantaquattresimo anniversario della sua morte, venerdì 12 dicembre, nella Sala degli Stucchi di Palazzo Trissino, è stato presentato il volume “Antonio Giuriolo e il “partito della democrazia”, curato da Renato Camurri per l’Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea della provincia di Vicenza (Istrevi). A distanza di più di sessant’anni dalla morte, la figura e la statura morale di Giuriolo mantiene intatti la sua forza magnetica e il suo fascino. Tuttavia, dopo la biografia del 1984 di Antonio Trentin, è calato il silenzio, interrotto solamente dalle celebrazioni che quasi ogni anno gli vengono tributate nelle zone dove è caduto. Partendo da questa considerazione e dalla presa d’atto di un’interessante ripresa degli studi dedicati al Partito d’Azione, di cui Giuriolo faceva parte,  verificatesi in Italia e nel Veneto, l’Istrevi decise nel 2004 di dedicare a Giuriolo un convegno di studi con l’obiettivo di rilanciare l’interesse attorno alla figura del comandante Toni e  di riaprire una discussione sulla figura di Giuriolo, guardando, con il dovuto distacco scientifico, ad alcuni aspetti della sua personalità e cercando in questo modo di riportarlo al centro di processi storici e di vicende politiche che lo videro tra i protagonisti della lotta antifascista e tra le figure di primo piano della cultura liberal-democratica.  A favorire questa decisione intervenne anche la scelta, compiuta in quel periodo, da parte degli eredi di Giuriolo di donare all’Istituto storico vicentino l’archivio della famiglia.  Ora, a distanza di qualche anno, lo stesso Istrevi pubblica, nella sua collana presso l’editore Cierre di Verona, il volume che è stato presentato e che ha il pregio di raccogliere le relazioni lette al convegno assieme ed altri testi e documenti. Antonio Carioti (giornalista del Corriere della Sera) e Pietro Polito (ricercatore del centro Studi Piero Godetti di Torino), hanno discusso il volume  alla presenza del curatore e di alcuni degli altri autori: Francesco Berti Arnoaldi, Marco Borghi, Gianni Cisotto, Luciana Giuriolo, Mario Mirri, Ernestina Pellegrini, Chiara Saonara, Antonio Trentin, Renzo Zorzi. Nella stessa occasione l’Istrevi ha annunciato anche l’avvio di una nuova iniziativa con cui intende proseguire il lavoro avviato sulla figura di Antonio Giuriolo. Annualmente verrà tenuta da alcuni dei più noti studiosi dell’antifascismo italiano una “lezione Giuriolo”. Il ciclo di questi incontri verrà inaugurato il prossimo 22 gennaio 2009 dallo storico Giovanni De Luca dell’università di Torino. Nei prossimi anni è inoltre prevista la pubblicazione dei quaderni inediti di Antonio Giuriolo, a cura di Renato Camurri. Nella presentazione del libro di Camurri Antonio Carioti ha detto che Giuriolo aveva la vocazione non di usare la violenza contro gli altri ma di sacrificare se stesso per gli altri, il che accresce la sua grandezza morale e spiega il fatto che Giuriolo, quando fu rinvenuto il suo cadavere, avesse il fucile con la sicura: in quel momento il capitano Toni era impegnato non a rispondere al fuoco nemico, ma a salvare, a sprezzo della propria vita, un giovane partigiano. Questo fa di lui laico non solo un eroe, ma anche un “santo”, nel senso evangelico di Cristo che dice (Giov. 15, 13) “non c’è amore più grande di colui che dà la vita per il proprio fratello”. E questo spiega perché Meneghello, nei “Fiori italiani”, parli di lui come di un capo carismatico che aveva un rapporto “di tipo evangelico” con i suoi giovani allievi e lo paragona a Cristo, che non diceva, come il Nazareno, “lasciate tutto e seguite me”, ma che possedeva  “la sostanza” di quel messaggio: “l’influenza di Antonio, pur avendo per oggetto la mente dei suoi discepoli, investiva tutta la loro personalità e la cambiava”. Camurri,  nel suo saggio “Tra mito e antimito: note sulla formazione di Antonio Giuriolo”,  cita la lettera di Flavio Pizzato a Libero Giuriolo, il fratello di Toni, che si dichiara “soggiogato e stupito dalla personalità del Comandante Toni” e  confessa: “l’aver solamente sfiorato una personalità così ricca, così incredibilmente grande, mi ha fornito insegnamenti indimenticabili, forse determinanti per le scelte più importanti della mia vita. Resta incredibile, inspiegabile in termini di logica terrena, quella stupefacente capacità di sopportazione, di accettazione del dolore fisico di cui sono stato testimone”. “Il testo – commenta il Camuri – ricorda il modello classico delle biografie in cui si celebra il martirologio dei caduti della resistenza, con l’esaltazione del sacrificio supremo che accompagna la descrizione delle torture e delle sofferenze subite, e il silenzio eroico con il quale il partigiano sopporta le violenze”. La lettera di Pizzato conferma l’esistenza di una costruzione retorica di tipo mitologico che ha mantenuta intatta la sua forza nel tempo. Il mito di Antonio Giuriolo rappresenta per le sue caratteristiche e modalità di sviluppo qualcosa di atipico e particolare nell’ambito della storia della resistenza italiana, un caso che ha pochi altri termini di paragone. Mito, questo di capitan Toni,  confermato allo storico da altri documenti: brani di lettere private, spezzoni di discorsi pubblici, passaggi contenuti nelle varie commemorazioni. Il  mito di Toni incomincia subito dopo la sua morte. Tutte le lettere, gli articoli e le relazioni scritte “a caldo” offrono la precisa sensazione di trovarsi di fronte ad una vicenda umana per molti versi “eccezionale”. Come alla commemorazione del 1946 di Antonio Barolini, secondo il quale, vi era in molti amici di Toni diffusa la convinzione che egli sarebbe morto combattendo, perché “esistono uomini per i quali la morte, e specie un dato tipo di morte, costituisce una sanzione che non ne annienta ma conferma la personalità”.  Anche Elisa Salviati, nel 1945, quando fu intitolato a Toni il rifugio di Campogrosso,  parlò di “santità della causa cui si era votato” e di “morte bella degli eroi”. Ma il documento più significativo è forse quello di Omar Cavattoni che esalta così l’eroe morto in battaglia: “La Sua bontà era come un caldo respiro che si espandeva e animava le persone intorno a Lui di un dolce sorriso che legava le une alle altre inavvertitamente quasi stupite. Quando Egli ci guardava ci purificava per un istante l’anima dagli egoismi e dalle grettezze in cui era impaniata, ci liberava e denudava quel poco o molto di buono che era in noi perché solo apparisse nel nostro sguardo negli atti e nelle parole. Solo così si poteva andare a Lui, con la bontà scoperta, con gli egoismi vinti,schiusi al calore di umanità; solo così lo si poteva comprendere e si poteva essere da Lui compresi. Chi Lo conobbe deve confessare che di fronte a Lui sentiva questa intima metamorfosi, questa benefica rigenerazione”. Un documento eccezionale questo di Cavattoni che dimostra come le azioni di Toni erano  interpretate e enfatizzate  come degli exempla,  sulla scorta delle storie dei martiri della Chiesa primitiva. Il richiamo alla simbologia e alla struttura tipiche delle agiografie religiose, si ritrova anche nel seguente brano, dove la lotta resistenziale veniva presentata come una scelta tra il bene e il male: “quando il turbine della guerra si alzò dalle foreste teutoniche per investire l’Europa Egli scelse la sua bandiera. Egli, che odiava la guerra,  ci si gettò con l’ardore di un martire e la combatté dal primo giorno con le armi che di volta in volta erano e Gli si offrivano: con la parola, con la cospirazione, infine con il moschetto”. Ma quale era la Sua bandiera?, si chiede Cavattoni,  dandosi la risposta:  “non certo quella dell’Asse alla cui ombra soffocavano gli ideali Suoi, ma neppure quella degli Alleati e neppure quella della nuova Italia, che Egli sognava e voleva e che lo avvolse quando cadde. Egli combatté per il bene contro il male”.

 

Gianni Giolo

 

Antonio Giuriolo e il “partito della democrazia”, a cura di Renato Camurri, Istrevi, Cierre edizioni, euro 12,50

 

 

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