Gianni Giolo
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PAOLA DRIGO

 SCRITTRICE VIRILE DEL PRIMO NOVECENTO

Si è tenuto a Padova il convegno di studi “Paola Drigo. Settantant’anni dopo”. I più grandi studiosi da Giorgio Pullini a Giorgio Barberi Squarotti, da Cesare De Michelis a Patrizia Zambon, da Paola Azzolin a Delia Garofano hanno approfondito la personalità e l’opera della più grande scrittrice veneta del primo Novecento, nata a Castelfranco Veneto nel 1876 e morta a Padova nel 1938. Poche le sue carte salvate dal rogo divampato nella stanza di Villa Drigo, a Mussolente, nel Vicentino, dove visse a lungo a partire dal 1900, conducendovi una vita sontuosa e preziosa di elegante bellezza formale, agiata condizione patrimoniale, corrispondenze, ospiti, visite amicali e occasioni d’ambiente intellettuale, soggiorni a Padova, Roma, Milano, Venezia e Parigi. Una scrittrice di talento, come testimoniano i suoi romanzi, che ha avuto, forse, una sfortunata coincidenza: quello che sarà considerato il suo capolavoro, Maria Zef, romanzo verista e drammatico, edito da Treves nel 1936, giudicato da Claudio Magris come “un piccolo e vero capolavoro” e uno dei più belli e sottovalutati romanzi del nostro Novecento,  nonostante l’immediato successo, non ebbe gli echi aspettati in quanto sommerso dai fragori della seconda guerra mondiale. In quest’ultimo romanzo la Drigo traccia un memorabile e “intollerabile”  ritratto della Carnia e della sua gente, denunciando gli inevitabili mali che spesso affliggono le comunità isolate, alcolismo, incesto, analfabetismo. Temi e colori forti per quegli anni, ripresi poi in due film, diretti nel 1953 da Luigi de Marchi e nel 1981 da Vittorio Cottafavi, pellicole che suscitarono discussioni e critiche. Patrizia Zambon, ricercatrice dell’università di Padova, ha curato nel 2005 la riedizione di Fine d’anno (Carabba) e nel 2006 una scelta di Racconti (Il Poligrafo). La produzione letteraria della Drigo, iniziata nel 1913 con la raccolta di novelle La fortuna, proseguì con la raccolta Codino, edita nel 1918 da Treves: in tutto quattordici testi, alcuni già stampati su riviste a larga tiratura. L’editore vicentino Jacchia pubblicò nel 1932 La signorina Anna,con altri sei racconti, apparsi su riviste nei dieci anni precedenti. Sono tendenzialmente due i campi emozionali e narrativi nei quali la Drigo elabora i suoi racconti: quello di un tragico realismo, infinitamente dolente, e quello  di una mondanità leggera e sorridente, o amaramente disincantata. Novelle quindi d’impianto realista, dure e ferme, come le giudicò Manara Valgimigli, quando nel 1940 volle ripercorrere,  in un articolo redatto per la “Nuova Antologia”,  i temi e le forme della narratrice che non manca  di una risentita ed emozionata volontà di denuncia. Categorico   il suo giudizio sulla scrittrice che aveva conosciuto quando ormai gravemente malata aveva lasciato Mussolente per il villino padovano di via Paleocapa: “Veramente la Drigo è una maschia donna. E’ una scrittrice virile”. “Poche straordinarie righe – commenta la studiosa Delia Garofano – che mi pare esprimano nella maniera più perfetta tutto ciò che c’è da capire Paola Drigo”. “Scrittrice virile”, dunque la Drigo, ma oggi – precisa la studiosa - si preferisce definirla semplicemente  “scrittrice”,  non perché “virile”, ma perché “squisitamente  donna”. Donna per la sua fedeltà, l’esattezza formale lungamente perseguita, l’amorosa attenzione usata nella rappresentazione e nella resa espressiva del senso taciuto delle tante, diverse e pur sempre “ferite” esistenze dei suoi protagonisti”.

 

Gianni Giolo

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