Gianni Giolo
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I Vangeli

Presentazione

Dalla Storia alla fede

‘Vangelo’ è un termine greco che significa ‘messaggio buono’, un messaggio che consiste essenzialmente in questo annuncio: “Si è avvicinato il regno di Dio” che, per un certo periodo dopo la morte di Cristo, venne trasmesso oralmente. Con il passare del tempo nacque però la necessità di mettere per iscritto la catechesi (altra parola greca che significa ‘risonanza’, ‘istruzione a viva voce’) degli Apostoli  e dei discepoli.

   La redazione scritta del ‘messaggio buono’ non si proponeva di soppiantare o sostituire la tradizione orale degli ‘evangelisti’ che avevano il compito, come di Eusebio, di “dilatare sempre di più il messaggio (kérugma) di Cristo e di spargere il seme del regno dei cieli su tutta la terra”.

   Lo stesso Luca dice che già lungo il sesto decennio del I secolo (circa trent’anni dopo la morte di Cristo) circolavano “molti” scritti che contenevano “il messaggio buono” del Salvatore, ma la Chiesa primitiva si è curata solo di quattro fra essi, che diventarono le colonne basilari della dottrina cristiana. A essi soli la tradizione attribuì un valore di storiografia ufficiale: in essi riconobbe l’ispirazione di Dio e perciò li incluse nelle scritture chiamate Canone: sono appunto i quattro Vangeli canonici del Nuovo Testamento scritti da Matteo, Marco, Luca e Giovanni.

   La linea costante della trama dei Vangeli si svolge su tre punti: l’insegnamento di Gesù in Galilea, il magistero in Giudea, la passione, morte e risurrezione.

   A queste tre linee generali può essere premessa la narrazione più o meno ampia, come in Matteo e Luca, dei fatti dell’infanzia di Gesù. Tale schema risulta, dagli Atti degli Apostoli, essere il programma di base della predicazione di Pietro, per cui è legittimo credere che al primo degli Apostoli risalga la trama di quella catechesi che poi fu messa per iscritto nei Vangeli.

   Il dibattito degli ultimi vent’anni sui Vangeli si è incentrato in particolare sul problema della loro storicità e autenticità (si veda Vangelo e Storicità. Un dibattito, Milano, 1995).

   L’esegesi moderna aveva stabilito che essi fossero stati scritti tra il 70 e il 100 e la notevole distanza temporale fra gli eventi narrati e il periodo in cui erano stati messi per iscritto faceva considerare i Vangeli un documento inattendibile sul piano storico. Molti particolari, anche centrali, della vita di Cristo perdevano importanza. Illustri esegeti e teologi invitavano a considerare anche la risurrezione e i miracoli riferiti agli evangelisti come leggende o miti elaborati successivamente dalle fantasiose comunità primitive. Si diceva che bisognava distinguere i fatti dal significato, il Gesù della storia dal Cristo della fede. Praticamente di Gesù venivano meno gli atti, la vita, la carne e restavano solo i simboli che pochi esperti, iniziati, ermeneuti potevano interpretare e spiegare alla gente comune.

   Le recenti scoperte della grotta 7 di Qumrâm, presso il mar Morto, hanno però abbassato la datazione del Vangelo di Marco dal 70 al 50, cioè a pochi anni dopo la morte di Cristo: ne nascerebbe di conseguenza che i Vangeli non sarebbero tardive elaborazioni di miti o di leggende, ma uno straordinario reportage sugli eventi di duemila anni fa in Palestina, una cronaca quasi in presa diretta di fatti raccontati a contemporanei che  avevano visto e udito le parole di Cristo. Conseguentemente, come dice Claude Tresmontant, “se avessero contenuto menzogne i testimoni sarebbero saltati  addosso agli autori e quei libri sarebbero stati immediatamente screditati”.

   Ritorna dunque di grande attualità il problema della storicità dei Vangeli, che rimette in discussione l’intero castello della esegesi neotestamentaria moderna. Non possiamo che convenire con il papirologo anglicano Corsen Peter Chiede quando afferma: “Scoprire che chi ha scritto i racconti del Vangelo è stato un testimone, o ha raccontato la testimonianza di chi ha visto e udito, è sconvolgente”. E questo perché gli studi biblici  del nostro secolo avevano separato nettamente i fatti storici dal loro significato, e in particolare con Rudolf Bultmann le azioni compiute dal Cristo avevano perso ogni valore di per sé ed erano trattate come pure e semplice mitologia. Oggi invece, osserva Enzo Bianchi, di bultmanniani ne sono rimasti pochi e prevale la tendenza opposta: la fede cristiana non è una filosofia, ma si basa sull’intervento di Dio nella storia umana attraverso Gesù. Ora si torna a riconsiderare i fatti della vita del Cristo e si ricorda che egli stesso, ai discepoli di Giovanni incerti se credere o meno in lui, risponde: “Andate e dite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi  camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi odono, i morti risorgono, ai poveri viene enunciato il Vangelo” (Matteo XI).

   Gesù vuole insomma che siano le cose stesse a parlare e a dimostrare i suoi poteri, la sua autorità, e quindi la realtà della sua Persona e della sua opera.

   Oggi dunque i fatti di Gesù sono alla base del dibattito sui Vangeli, letti non come materiale archeologico, fantastico o mitico, come lo sono per esempio l’Iliade o l’Odissea, ma come libri drammatici, esistenziali, storici, non nel senso che sono stati scritti per fare della storia, ma per dare agli uomini di ieri e di oggi l’annuncio di salvezza che si basa sulla storia.

   Alla fine del Vangelo di Giovanni leggiamo: “Ho scritto queste cose perché abbiate fede” e lo stesso ripete Luca all’inizio del proprio testo: “Ho scritto perché possiate avere la sicurezza delle cose in cui siete stati catechizzati”.

   Questo è lo scopo dei Vangeli, quello che conta per gli evangelisti. Fatti e significati sono dunque inseparabili nel cristianesimo. Che non è un mito ma, come dice Harald Riesenfeld, “innanzi tutto un avvenimento, e come tale va considerato nella sua totalità”.

   E’ giusto quindi tenere presenti anche le recenti scoperte e il vivacissimo dibattito ad esse seguito ed è giusto che le problematiche sulla natura dei Vangeli escano dalla ristretta cerchia degli specialisti e coinvolgano il vasto pubblico, la gente comune. Quella gente che da duemila anni non cessa di fare i conti con la più grande domanda della storia. “Chi è Gestù Cristo”?

Gianni Giolo