La tranquillità dell'anima

Presentazione

Anneo Seneca: la vita e le opere

Fine dell’era pagana
Anneo Seneca nasce in Spagna, a Cordova, da Seneca il Retore, che da Elvia ebbe altri due figli: Anneo Novato, divenuto, dopo esser stato adottato da L,. Giunio Gallione, governatore dell’Acaia, e M. Anneo Mela, padre del poeta Lucano.

Primi anni dell’età volgare
La famiglia si trasferisce a Roma, dove il futuro filosofo riceve i primi insegnamenti dallo stoico Attalo, da Sozione e da Papirio Fabiano, appartenente alla corrente stoico-pitagorica dei Sestii.

26
Terminati gli studi, Seneca si reca in Egitto, dove lo zio Galerio era governatore.

31
Ritorna dall’Egitto e inizia la carriera politica con la questura.

39
Un discorso forense di Seneca irrita Caligola, che vuole mandarlo a morte; viene salvato da un’amante dell’imperatore.
 
40 (?)
Scrive la Consolazione a Marcia (figlia dello storico Cremuzio Cordo), alla quale era morto un figlio.

41/49
Seneca viene mandato in esilio in Corsica, perché coinvolto dall’imperatrice Messalina, moglie di Claudio, nell’accusa di adulterio con Giulia Livilla, figlia di Germanico e sorella di Caligola. Durante il periodo dell’esilio scrive L’Ira la Consolazione alla madre Elvia (42), addolorata per la condanna del figlio, e la Consolazione a Polibio (43), un influente liberto di Claudio, che aveva perduto un fratello.

49
Per intervento di Agrippina (divenuta moglie di Claudio), Seneca ottiene di tornare dall'esilio a Roma, dove inizia la sua attività di precettore del giovane e futuro imperatore Nerone.

49/54
A questi anni di propedeutica al principato neroniano appartengono le opere La costanza del sapiente e La brevità della vita (che altri però datano intorno al 62).

54
Morte di Claudio e avvento al potere di Nerone: Seneca scrive, forse anonima, la satira Zucchificazione (Apokolokyntosis), nella quale sbeffeggia Claudio, che lo aveva esiliato.

54/59
I primi cinque anni dell’impero neroniano sono positivamente influenzati dagli insegnamenti di Seneca. Sono forse di questi anni La clemenza, La vita felice e l’avvio di I benefici.

59
Uccisione di Agrippina da parte del figlio Nerone: da questo momento i rapporti tra il filosofo e l’imperatore si vanno sempre più deteriorando. Dopo il fatto tragico, Seneca, secondo lo studioso Italo Lana, potrebbe aver scritto La tranquillità dell’anima.

62
Dopo che diventa totale la sottomissione di Nerone a Poppea, Seneca si ritira a vita privata.

62/65
Sono gli anni del ritiro, caratterizzati da un’intensa attività culturale. Scrive le opere La vita appartata, Questioni naturali, Lettere a Lucilio, La provvidenza e completa I benefici.

65
Nerone impone a Seneca di suicidarsi, perché lo ritiene coinvolto nella ‘congiura dei Pisoni’, di cui il filosofo era solo informato. La sua morte dolorosissima è descritta in una suggestiva pagina di Tacito. Non è certa la data delle tragedie.

 I rimedi di un medico dell’anima

“Se ti troverai a vivere in tempi politicamente difficili, bisognerà dedicare più tempo agli studi e alla vita privata; come quando una navigazione si fa più pericolosa occorre cercare subito un porto, senza aspettare che la situazione stessa te ne allontani, devi saper guidare il tuo corso prima, di tua spontanea volontà” (cap. V): ecco il tema di fondo di questo attualissimo dialogo di Seneca, che ha goduto di tanto favore e ammirazione nei secoli, un invito a staccarsi dalla inquietante corruzione della vita pubblica (“se pensiamo quanto rara sia l’onestà, la rettitudine quasi sconosciuta, la lealtà inesistente”), per godere della tranquilla serenità della vita privata.
   Il filosofo stoico, precettore e pedagogo dell’imperatore Nerone, deluso dalla politica e dalla corruzione del suo tempo, al momento della composizione dell'opera stava evidentemente meditando di ritirarsi dalla vita pubblica. Come il vecchio romano Umbricio della terza satira di Giovenale decide di allontanarsi da Roma, perché non c’è più spazio per le persone oneste, così il filosofo capisce che non c’è più posto per lui nella corte del depravato imperatore, e ritiene che sia giunto il momento di ritirarsi. Non si sa in che anno fu scritta, ma il clima psicologico ci riporta all’indomani dell’uccisione da parte di Nerone della madre Agrippina. L’imperatore è ormai sotto l’influsso nefasto di Sabina Poppea, la quale, come nota Concetto Marchesi, “aveva pari alla bellezza la forza delle seduzioni e il fascino della dissolutezza”.

Seneca, medico dell’anima, dà inizio a questo manuale, che è un concentrato di ‘ricette’ del vivere sereni, riferendo le opinioni del filosofo stoico, amico di Augusto, Atenodoro di Sandone: l'ideale è quello di prender parte e di impegnarsi nella vita politica, che è il campo d’azione naturale dell’uomo, “ma, poiché, in questa folle lotta di uomini, con calunniatori capaci di stravolgere quanto si fa di bene, l’onestà è sempre più minacciata e gli insuccessi saranno sempre più facili dei successi, è meglio ritirarsi da ogni impegno pubblico e sociale”.
   Tuttavia, continua Atenodoro, un animo grande penserà sempre, anche lontano dalla vita attiva, al resto dell’umanità e sarà utile “a tutti con l’intelligenza, la parola e il consiglio”.

Seneca non è del tutto d’accordo con il filosofo e precisa: “A me sembra che Atenodoro abbia ceduto troppo ai tempi e si sia messo da parte troppo presto. Non voglio con questo negare che sia opportuno ritirarsi a vita privata, ma credo sia giusto farlo lentamente, passo dopo passo, salvando le insegne e l’onore militare”. Se una persona non può più svolgere i suoi doveri di cittadino, svolga quelli di uomo. Diceva Democrito: “Al saggio tutta la terra è aperta, perché patria di un’anima bella è il mondo intero”, che riprende un verso di Euripide: “Tutto il cielo è percorribile per l’aquila, per l’uomo nobile tutta la terra è patria”. (Lo riecheggerà il Guarino nel Pastor fido: “Ogni stanza al valentuomo è patria”.) Le riserve nascono dal fatto che Seneca sente che la natura e la virtù costituiscono il ‘centro’ dell’universo, in cui l’uomo si perderebbe se non avesse questi due punti di riferimento. Egli ha il senso cosmico dell’esistenza umana: la vita è solo una particella dell’immensa ed eterna vita dell’universo. Uniformemente al pensiero stoico, come lo sintetizza Max Pohlenz, ritiene che il mondo sia una perfetta unità: “Esso non è un complesso di esseri distinti e autonomi, è un organismo vivo in cui tutte le parti si trovano per simpatia tra loro in un rapporto di interazione”. Così, in La provvidenza: “Noi sereni e coraggiosi di fronte a tutto, sappiamo che tutto quanto perisce non è davvero nostro. Cosa deve fare l’uomo virtuoso? Offrirsi al destino. E una grande consolazione pensare che siamo trascinati insieme con l’intero universo”. E questo un concetto esaltante e inebriante, che può dare la pazzia o la felicità. A Lucrezio, che, come osservava il Marchesi, “si appartò dalla repubblica conquistatrice e pensò, in un angolo dell’urbe, all’universo”, diede la pazzia, a Seneca la felicità, o almeno la serenità.

Sul frontone del tempio di Delfi erano incise due semplici parole: “Niente di troppo” (ne quid nimis), una delle massime fondamentali della sapienza greca. Seneca insiste su questo principio essenziale per raggiungere la serenità dello spirito: accontentarsi del poco, evitare gli eccessi, amare la frugalità, la parsimonia, sapersi raccogliere in poco spazio, gustare le piccole gioie della vita, virtù che si condensano nella massima: “In tutte le cose bisogna evitare gli eccessi”. Luciana Marinangeli, nel suo libretto Vivere sereni, ribadisce quest’antichissima sapienza quando osserva: “Chi ha sentito una gioia immensa scoprendo in una radura un piccolo riccio che beve da una pozza d’acqua, con la sua linguetta rosa salmone, oh, meraviglia!”

Diogene, vedendo un suo ospite prepararsi con grande cura per andare a una festa, gli disse: “Ma per un uomo buono non è forse festa ogni giorno?” Plutarco commentava questa battuta: “È davvero splendida, se siamo sani di mente!”  In un trattatello, che porta lo stesso titolo del dialogo di Seneca, il filosofo greco
così definiva la serenità: “È la saggezza che rende la vita più bella e più piacevole di ogni altra. Cerchiamo perciò di purificare la sorgente della serenità che è dentro di noi, in modo che anche le cose esterne, una volta considerate familiari, amiche e trattate senza asprezza, possano accordarsi con noi”.
   Anche per Seneca la serenità è dentro di noi: in noi dobbiamo trovare la forza d’animo che ci fa superiori alle sconfitte (politiche e personali), in noi troveremo la tranquillità nata dalla coscienza del bene compiuto. Il filosofo raccoglie l’invito di Democrito che in un suo trattato Sulla tranquillità sosteneva che la fonte della serenità si trovava nella ‘dispensa’ del proprio animo. L’opera era molto popolare ai tempi di Seneca, che si dimostra sostanzialmente d’accordo sulla tesi di fondo del filosofo greco: agire con misurata discrezione, allontanarsi dalla vita pubblica quando le situazioni sono in contrasto con la personalità del saggio.
   Ma come impiegare il tempo libero? Non come gli aristocratici disimpegnati e oziosi romani, in preda al tedio del dolce far niente: la noia irrequieta nasce soprattutto dall’assenza di capacità spirituali e di veri valori. Di qui la necessità di un ‘manuale empirico’ che insegni come alternare con saggezza i necessari affari privati con gli spazi vuoti, dedicati all’ozio, che devono essere impiegati in modo produttivo e saggio: soddisfatte queste condizioni, la tranquillità diventa raggiungibile. Questa virtù consente di aver cura dei propri simili e gioisce dei beni della vita: non è noiosa, perché suo fine è proprio la gioia di vivere: “Il saggio è pieno di gioia, ilare e placido, senza turbamenti, vive come gli dei».