NERI POZZA

GIAMBELLINO E IL PAESAGGIO DEL LAGO FIMON

 

Si è inaugurata a Palazzo Tiene  la mostra “Bellini e Vicenza”. La nostra città ospita a Santa Corona il Battesimo di Cristo di Giovanni Bellini che è ritenuto – come scrive Enrico Maria Dal Pozzolo - uno dei massimi capolavori del Rinascimento europeo”. La pala fu eseguita nel 1500-02 per un ricco committente locale Battista Graziani, detto Garzadori, reduce da un pellegrinaggio in Terra Santa da cui era tornato sano e salvo (cosa per nulla scontata a quei tempi). Un’opera fortunatamente giunta fino a noi nel luogo e nelle forme in cui era stata pensata dall’origine: entro una sontuosa cornice lapidea che ad essa si lega indissolubilmente. Tuttavia quell’intervento del vecchio maestro non fu in episodio, per quanto memorabile, ma l’apice di una serie di appuntamenti a seguito dei quali lasciò in città vari altri gioielli di pittura. Va ricordato che fu proprio il prepotente potere d’attrazione dell’arte del Bellini a porre le basi del Rinascimento pittorico a Vicenza.  Neri Pozza, nel suo libro del 1982 “Le luci della peste”, pubblicato da Rizzoli, immagina un dialogo fra il committente della pala del Battesimo Garzadori, il Crociato,  il Giambellino e Caterina, Ilaria e Maria, figlie dello stesso Garzadori. “Non mi pare necessario – scrive Neri Pozza – aggiungere postille per la comprensione di una storia dove i luoghi vicentini (la Riviera berica, Tòrmeno e Fimòn), prescelti per la mimesi del Battesimo del Giambellino, in Santa Corona a Vicenza, sono chiamati con il loro nome. Si tratta di uno dei più antichi insediamenti umani dell’Italia settentrionale, noto ai paleontologi, archeologi e naturalisti in genere fin dal tempo dei felici ritrovamenti di Paolo Lioy. L’individuazione del luogo reale, in relazione al dipinto del Giambellino, è una licenza dello scrittore. Restava da spiegare la presenza all’evento delle sole tre donne, “in quella valle introvabile altro che per i nostri occhi, da quando ce la scoperse il Bellini” (Roberto Longhi, Breviario, Firenze, 1946). Il dipinto, che possiede i caratteri sublimi dell’idillio fra il cielo e la  terra, motiva il racconto in tutta la sua estensione”.

L’azione si svolge fra Vicenza e le campagne intorno al Fimòn: “Si prende la strada della Riviera verso Costozza, ma si svolta a Lòngara poco prima dei mulini del Zòto, nella campagna con le torbare; e risicando i casoni del Tòrmeno e le prime paludi fitte di canne, ci si interna nel sentiero spinoso. Sul rialzo del capitello di San Leonzio compare la Fòntega di melma negra fino in fondo alle colline. Di qua vedi calare dal cielo chiaro a piccoli stormi le folaghe color ardesia, che dopo aver sguazzato nel fango ripartono verso le colline. Più avanti il sentiero si slarga, corre lungo la palude, sfiora in fondo alla curva il monte coperto dallo spineto. Qui incomincia la seconda valle, quella di Fimòn col piccolo lago plumbeo in mezzo ai dossi salvèghi e deserti. Lungo l’acqua si vede qualche capanna in bilico sui pali. La valle a forma di anfiteatro pareva fatta apposta per diventare la scena del battezzo del Signore; e Giambellino ormai la sognava come una festa sulla riva, con le tre figliole del Garzadori, Caterina, Ilaria e Maria, che correndo giù per il sentiero si fermavano stupefatte a guardare la scena. Giovanni compreso dalla propria funzione non le ha viste. Dalla ciotola di legno fa cadere sul capo del santo l’acqua lustrale”.

“La prima volta che Giambellino aveva visto Fimòn – scrive Pozza – era stato d’aprile, e le lepri rosse gli tagliavano il passo a saltoni, internandosi nelle tane fra i rovi. Il Crociato – si chiamava Garzadori – non era nel suo palazzo a Vicenza. Morta la moglie stava sempre sulle terre fra i boari, a migliorare i seminati e a rassettare i casoni. Il Crociato non aveva preso parte a nessuna spedizione per liberare il Santo Sepolcro. Rimasto vedovo era andato in Terra Santa supplicare il Paradiso per la defunta, come tanti cristiani provvisti di moneta.  Per quali labirinti di sentieri e di cavezzagne il pittore avesse cercato il patrizio, e fosse infine arrivato nella casona a Fimòn, e poi salito in cima al colle dal quale mirare quel sito perso del mondo, non sarebbe riuscito a spiegare. Ve lo aveva spinto un intuito oscuro. Là sotto, sull’aia del casone, l’uomo che faceva ai boari dei grandi segni verso la terra era proprio il Garzadori. Lo aveva lasciato che finisse la predica, era disceso per il viottolo. Così, fra le piante, si erano conosciuti; e la simpatia nata fra due persone diverse per attività  e inclinazioni era stata improvvisa, Giambellino se ne era rallegrato come di una rara scoperta; tanto che, tornati insieme al palazzo in città, il Garzadori gli aveva confidato di voler sciogliere un voto. Rocco scultore stava per mettere in opera, in Santa Corona, un altare, e sarebbe stato bello se Giambellino si fosse degnato di ornarlo con una sua pittura. Il pittore rispondeva che ci avrebbe pensato”. Alla sera, per festeggiare l’ospite, il Garzadori aveva ordinato un piccolo pranzo e chiamate a tavola le tre figliole. Entrate insieme le giovani avevano accennato un inchino, bisbigliato un saluto. Caterina, diceva il padre indicando quella vestita di scarlatto, Ilaria con l’abito celeste, Maria coperta di giallo. “Voi lo conoscete di fama” continuava il Garzadori rivolto alle figlie indicando il maestro; e quelle annuivano, e sedevano insieme sul lato lungo della tavola. C’era stato un breve silenzio. Poi il cibo aveva riavviato la conversazione. Il Crociato rievocava le tappe del suo soggiorno in Terra Santa. Aveva visitato il luogo deserto del Giordano dove Giovanni il Battista aveva battezzato Gesù. Il discorso del Garzadori aveva incantato il Giambellino. Nel racconto Caterina, Ilaria e Maria avevano alzato le mani per lo stupore quando il padre aveva parlato dell’acqua abbondante caduta sul capo del Salvatore e così le rappresenta il pittore nel celeberrimo quadro, come  rapite della visione. Gli pareva  che la veduta del Fimòn fosse quella predestinata a diventare la scena del battesimo. Nell’ottobre il Giambellino era ritornato nella casona del Garzadori al lago di Fimòn,. Poi ancora a dicembre. La valle era di sasso, coperta di foglie marce, di ramaglia e di polvere. Soltanto l’acqua del lago pareva schiarita, quasi che il cielo d’inverno vi avesse infuso il suo gelo. Ora la scena gli era chiara: né uomini, né animali, nessuno tranne Giovanni, ed ecco Caterina, Ilaria e Maria, nei loro abiti da festa che correvano giù dal colle stupefatte a guardare Gesù che entrava nell’acqua. L’alba si levava sulle colline e si udiva lo sciabordare dell’acqua sulla riva. Gesù non si era accorto  delle tre sorelle. Guardava e l’acqua che cadeva dalla coppa versata da Giovanni gli correva luccicante dal capo alle spalle

Gianni Giolo

 

N. POZZA, Le luci della peste, Rizzoli