CAROLA SUSANI

 

DA MAROSTICA A PARTANNA. L’INFANZIA DI CAROLA SUSANI  FRA I TERREMOTATI DEL BELICE.

 

Lunedì 20 ottobre, alle ore 21,  nella Sala Consiliare del Castello Inferiore di Marostica, nell’ambito degli incontri culturali sui diversi linguaggi comunicativi, diretti da Albano Berton,  Carola Susani presenterà il suo libro “L’Infanzia è un terremoto” (Laterza), che è stato definito il più bel libro dell’anno.  “Mi ricordo – scrive la Susani nel primo capitolo - che abbiamo viaggiato in macchina da Marostica, in Veneto, il paese degli scacchi, dove abitavamo in una casa appena fuori dalle mura con la vista sul castello, fino a Partanna. A Partanna c’era il Centro studi iniziative Valle del Belice che faceva capo a Lorenzo Barbera e Paola Buzzola, i genitori di Luca, Fabrizio e Matteo, ed ad altri ex collaboratori di Danilo Dolci. Mio padre e mia madre, architetti, andavano a lavorare con loro per la ricostruzione e lo sviluppo. Del viaggio non mi ricordo niente. Solo la partenza, mia nonna con la faccia tirata che sembra una maschera – me la ricordo identica alla madre di Pasolini  nel Vangelo secondo Matteo -, la Peugeot con i bagagli già dentro, io che grido perché ho caricato quasi tutte le mie bambole ma mi mancano certi pupazzi alti dieci centimetri, mezzi uomini e mezzi bestie, e i miei genitori, per una volta severi, non mi permettono di cercarli”. Questo l’inizio di uno dei romanzi più belli e più intensi del nostro tempo travolti da impeto lirico e memoriale della marosticense Carola Susani, che vive a Roma come redattrice di “Nuovi Argomenti” e collaboratrice della cronaca di “Repubblica“ (ha scritto “IL libro di Teresa”, “La terra dei dinosauri”, “Il licantropo”, “Cola Pesce”, “Il rospo”, “Pecore vive”) “L’infanzia è un terremoto”, un immergersi nel mondo dell’infanzia e dei ricordi giocando e imparando a diventar grande tra le rovine e i calcinacci del Belice terremotato. “Centinaia di morti e oltre mille feriti nella Sicilia occidentale, distrutti i paesi di Montevago, Gibellina e Salaparuta”: è il titolo cubitale in prima pagina del “Corriere della Sera” del 16 gennaio 1968. Di Poggioreale sono rimaste in piedi molte facciate, ma il paese è ormai una quinta teatrale. Anche Santa Marita Belice è sventrata. Crolli e morti ci sono stati a Menfi, Partanna, Camporeale, Chiusa Scaflani, Contessa Entellina, Santa Ninfa, Salemi, Vita, Calatafimi. Quest’inverno, quando sono andata a Montevago, mia madre e Giuseppe mi hanno convinto a passare in Biblioteca comunale. Ci sono andata più che altro per la biblioteca, perché mi sembrava difficile scoprire proprio lì qualcosa di imprevisto.  Non erano ancora finite le vacanze di Natale, perciò la biblioteca era deserta. Normalmente la usano gli studenti universitari e liceali. E’ uno stanzone con grandi tavoli, finestre alte, scaffalature a vista e i libri classificati con il sistema Dewey. Giuseppe mi ha affidato ai bibliotecari, un uomo e due donne che conosceva bene, una delle due è una parente. Era quasi ora di pranzo, fuori il sole era coperto ma scaldava, dentro invece avevo i brividi. Succede spesso d’inverno in Sicilia, perché gli interni raramente sono riscaldati. Magari in biblioteca i termosifoni erano accesi, ma la stanza era talmente grande che il caldo non riusciva a raggiungermi. Nell’ufficio sul fondo, il bibliotecario maschio lavorava al computer. Le due bibliotecarie avevano un aspetto domestico. Premurose, appena diffidenti, incuriosite. Che io fossi figlia di mia madre le rassicurava. Mi hanno mostrato un lavoro sul terremoto fatto dai bambini delle scuole una tesi di laurea sulla zona. La più alta ha sorriso: “Ma io ho capito”, ha detto alla collega, “cerca qualcosa di serio”, e mi ha tirato fuori un libro del 1978. Non l’ha preso dagli scaffali, ma da un posto che sapeva lei. La prossima volta che scendo a Montavano lo dovrò restituire. Si chiama Valle del Belice (Introduzione alla storia di dieci anni di terremoto), l’ha scritto un frate, padre Mariano Traina. Passa continuamente dalla stringente presentazione dei dati all’aneddotica, dalla citazione dei poeti locali all’analisi della legislazione. Ci sono libri sul terremoto altrettanto e forse meglio documentati ma questo mi piace”. Così con una prosa appassionata e talvolta leggermente svagata con punte argute d’ironia Carola racconta l’oggi e lo ieri di questa esperienza che sconvolse la Sicilia, una stagione irripetibile piena di speranze e di partecipazione proprio quando in Italia cominciavano apparire i primi sintomi degli anni di piombo e del terrorismo.  Centinaia le vittime, migliaia gli sfollati. Accanto alle polemiche sulla ricostruzione che procedeva a rilento e  a singhiozzo e gli affari di Cosa Nostra, gli italiani nel Belice hanno scoperto il volontariato e la solidarietà umana. A centinaia arrivarono dal nord fra le rovine siciliane per ricostruire case, uffici, ospedali, scuole. Un esercito di altruisti e generosi che lasciavano il loro lavoro e i loro interessi privati per soccorrere la gente del sud. Anche la famiglia di Carola, padre e madre architetti, decisero di mettere a disposizione forze e professionalità in una vita “da comune”, accanto a Danilo Dolci, poeta buon samaritano, e don Riboldi allora giovane parroco, al versatile artista Bruno Levi e a decine di famiglie. Carola allora aveva quattro anni e giocava con le bambole, ma oggi è ritornata nella Valle del Belice per raccontarci i segni e i sogni di quell’esperienza tragica e straordinariamente bella nello stesso tempo. Oggi Gibellina, rasa al suolo, ricostruita in un’altra parte è diventata una città d’arte, disseminata di opere d’artisti e architetti e da molti anni, nel Teatro dei Ruderi, in anfiteatro mimetico dei teatri greci, si tengono le Orestiadi di Eschilo. Nel 1992 è nata la Fondazione Orestiadi, al Baglio di Stefano, poco fuori da Ghibellina nuova, che si occupa di organizzare la rassegna e di promuovere iniziative d’arte, di musica, di poesia ad altissimo livello. Visto da Gibellina, il baglio, circondato di verde, sembra un luogo ci pace che guarda la città…” Carola è ritornata a Partanna. I volontari erano impegnati a ricostruire le cantine sociali. Oggi sono cantine cooperative, alle quali molti produttori portano le uve per produrre vino da pasto o da taglio. Hanno segnato un’epoca, dagli anni Settanta  ad oggi. Allora era un baraccopoli senza acqua.  L’acqua la portavano i camion con le cisterne una volta alla settimana.  Al centro la fontana settecentesca restaurata dove la bambina veniva ad attingere acqua con le taniche di plastica. Ora è di color giallo tufo, ma allora era grigia muschiosa. “Mi ricordo – racconta Carola – quando hanno abbattuto buona parte delle baracche, era la metà degli anni Ottanta, e ho detto a mio padre che ero tristissima perché non potevo tornarci. Lui mi ha risposto: “Devi scriverne. Tu ne scriverai letterariamente, io ne scriverò dal punto di vista dell’architettura, scriverò degli insediamenti provvisori, di come nascono e muoiono”.

 

Gianni Giolo

 

C. SUSANI, L’infanzia è un terremoto, Editori Laterza, euro 9,00