AUSILIO  BERTOLI

LE VICENDE CROATE DI UN VICENTINO

Lo scrittore-sociologo vicentino Ausilio Bertoli, dopo  i libri di successo, “Gente tagliata” (1996), i racconti di “Giostra mentale” (2001), il romanzo d’amore “Amore di banca” (2003), il saggio adottato in molte università “I temi della comunicazione” (2004),  ha scritto il romanzo breve “La sirena dell’immortalità” (Edizioni Azimut) che è la storia di Delio Rizzi, un vicentino impiegato di una compagnia di assicurazione, ex seminarista, aspirante poeta, ossessionato dalla perdita della madre invocata continuamente in una specie di lucido delirio, che va a passare le vacanze sulla costa croata in cerca di avventure erotiche e di facili amori. Appena esce dall’albergo viene attirato  da una cantante, “una ragazza alta forse u  metro e ottanta, un palmo più di lui; fianchi larghi e polposi, fasciati da un bustier nero aderente come un guanto, capelli corvini che le ricadevano a ciocche sul volto angoloso. Abbronzato appena”. Respinto con arroganza e protervia passa alla  sorella cui offre lavoro e alloggio  come studentessa in un’università italiana.  Tutto inutile. Le donne non si lasciano incantare da promesse che sanno di calcolato e di effimero. Al protagonista non resta che crogiolarsi nella sua solitudine e nelle sue velleità artistiche di sognatore di telecamere, palcoscenici, applausi, celebrità, foto sui giornali. Non gli rimane che accettare un’amicizia di una ragazza affermata nella cerchia dei parolieri croati e la modesta attività di poeta estemporaneo, quel tanto che gli basta per riconciliarsi con il lavoro e la vita. La morale del libro è evidente: non l’esistenza violenta e sanguigna, non le passioni frementi e disordinate, ma  l’amicizia disinteressata e la poesia salvano la vita. La felicità non è nella vita nuda e bruciante, ma nella ritrosa solitudine di un sentimento verace, nell’accettazione del quotidiano e dei suoi limiti, nel sapersi adattare alle pieghe ambigue e complesse del vissuto, nel passar lieve delle ore dimesse e intrise di significato, nel fascino della gentilezza e della grazie libera e spontanea.  La Croazia per lui è un via di rifugio, una terra vergine in cui cercare riscatto dalla noia del lavoro, dalle velleità artistiche frustrate,  dai complessi e frustrazioni che gli precludono l’universo femminile. Così lo squallido scenario di una terra dall’esotismo aspro e lussureggiante, pullulante di ragazze procaci e bisognose, ma ben accorte e calcolatrici, pronte a sfruttare i malcapitati turisti danarosi e a scartare subito i presunti tali, segnate dalla guerra atroce nella quale sono cresciute e da estrosi sogni di concupito benessere diventa un luogo dell’anima, dove nascono eroismi fatui, illusioni impossibili e irrealizzabili, impervie ansie esistenziali, subitanee e precarie accensioni dei sensi destinate ad essere affrante e deluse.  Bertoli, abbandonate le denunce sociali delle opere precedenti, il minuzioso e tagliente realismo si è volto al fascino della scrittura che scandaglia le tenebre interiori, dell’esaltazione visionaria spinta al limite della follia, delle nevrosi che attanagliano la vita sempre più inattuale e alienata della nostra società, delle lacerazioni della depressione e dalle devastazioni interiori dell’impotenza fisica e psichica. E la presunta immortalità di cui parla il titolo del romanzo sarebbe la esigua  notorietà che proviene dalle parole delle canzonette? La famosa frase di Bennato “sono solo canzonette” lascia intendere quanto sia fragile e effimera la gloria e   la personalità di questo vicentino piccolo piccolo che non sa essere una persona normale e che “non solo l’idea ma l’eco delle parole matrimonio e figli gli sollevano un disagio angosciante, un’impetuosa volontà di fuga”.  Uno sguardo estemporaneo e fugace ma non epidermico sulla realtà problematica di un’anima e di una terra così vicina e separata da un tratto  di mare, eppure per noi tanto lontana e misteriosa.

Letto il romanzo abbiamo fatto a Bertoli alcune domande.

La celebre scrittrice e saggista Margaret Atwood ella sua ricerca sulle motivazioni allo scrivere riporta le risposte date da scrittori veri o fasulli direttamente o ricavate spulciando giornali e documenti d’archivio (vedi “Negoziando le ombre”, 2002, ed. Ponte alla Grazie). Ebbene, lei che risposta darebbe?

Il libro della Atwood l’ho letto e lo consiglio non solo agli addetti ai lavori. Molti scrivono, ad esempio, per dipingere un ritratto della società e dei suoi vizi, altri scrivono per fissare il passato prima che tutto venga dimenticato, altri invece per divertire e compiacere i lettori o sé stessi, altri ancora per affrancarsi dalle nevrosi o dalle frustrazioni. Oppure, come sosteneva qualche decennio fa il notaio-mecenate vicentino Tommaso Valmarana, per non morire. Sì, per non morire: tant’è che intitolò un suo libro proprio “per non morire”

Ma lei?

Io scrivo per una necessità interiore che mi porto dietro fin dall’adolescenza. Una necessità, un forte desiderio di partecipare ai lettori le descrizioni e le interpretazioni mie di certi comportamenti, sentimenti, atteggiamenti individuali e sociali avvalendomi, oltre che dell’analisi introspettiva, soprattutto degli studi nelle discipline umanistiche e scientifiche effettuati in gioventù

Dà più valore alle opere letterarie o alle opere che so? Di filosofia, biologia, psicologia?

Scelgo le opere letterarie che abbiano fondamenta solide e trasmettano messaggi nuovi, realistici, meglio se incentrati sui rapporti tra l’uomo e la cultura sociale, oppure l’uomo e la natura

Non ha mai scritto nella pensando agli scopi ultimi escatologici della vita?

Certo, anche degli scopi ultimi. Che scrittore sarei altrimenti? Qualsiasi arte o disciplina alla fin fine tende a darci la propria ragione o spiegazione degli scopi ultimi. Ovviamente parziale, data la precarietà delle conoscenze umane.

Ci potrebbe rivelare quali sono gli scopi ultimi in cui lei crede o a cui si affida?

Nel romanzo “la sirena dell’immortalità” ho elencato quelli che a mio parere potrebbero essere, e ripeto potrebbero, i fini, gli scopi ultimi dell’esistenza umana, anche se il romanzo l’ho costruito essenzialmente per dimostrare come i miti che ci creiamo, o che assorbiamo dalla società attraverso i media, ci siano indispensabili per vivere o tirare a vivere.

“La sirena dell’immortalità” è autobiografico?

Sono fondamentalmente inquieto e molto esigente con me stesso, forse troppo. Quasi come il protagonista del romanzo.

 

Gianni Giolo

 

A. BERTOLI, La sirena dell’immortalità, Azimut, 10,00 euro