GALILEO GALILEI

IL SOGGIORNO VICENTINO

Nel 1592 Galileo Galilei incominciò a insegnare matematica all’università di Padova. Nell’estate del 1593 contrasse una cattiva forma di artrite a Costozza, in provincia di Vicenza, quando era ospite del conte Camillo Trento. Cos’era successo? L’illustre scienziato si era addormentato su un rosone dei “ventidotti” della famosa villa Aeolia di Costozza contraendone una trista malattia che lo accompagnò per tutta la vita. Ma cosa sono questi ventidotti e questi rosoni che si trovano nella suddetta villa vicentina? Bisogna sapere che attorno a Costozza si trovano 6 ville costruite in varie epoche a partire dal 1550, ville che sfruttano tutte lo stesso sistema di raffreddamento. I locali interni degli edifici sono collegati a cavità e condotti sotterranei, naturali e in parte artificiali, chiamati covoli o grotte che forniscono d’estate l’aria fredda necessaria a climatizzare l’ambiente. Queste grotte si trovano nelle vicine colline e sono anche sfruttate per la coltivazione dei funghi. I ventidotti o canali di ventilazione collegano le grotte alle ville di Costozza. Sono lunghi fino a qualche centinaio di metri e vanno a sboccare nelle cantine. La temperatura dell’aria nei covoli si aggira intorno ai 11-12 gradi centigradi durante tutto l’anno. Dai ventidotti l’aria fresca penetra nei locali d’abitazione attraverso rosoni di marmo traforato, posti nei pavimenti. Attraverso queste condutture l’aria degli edifici si rinfresca di una decina di gradi (temperatura interna – per esempio - di circa 16 gradi in contrapposizione a una esterna superiore ai 30). Anche il Palladio nei suoi libri di architettura parla di questi ventidotti e li paragona, riprendendo un’immagine mitologica eolica,  al “carcere dei venti”.    Galileo, in parole povere, si era addormentato su un rosone di  uno di questi ventidotti della villa Aeolia contraendone una fastidiosa forma di artrite, diventata inguaribile.             Lo sostiene Antonio Di Lorenzo in un suo libretto ben curato nella forma e nell’aspetto;  che si può vedere nella bacheca della Biblioteca Bertoliana, ”Il vino di Galileo e lo scherzo di Costozza” (Ergon edizioni). Per Giuseppe Barbieri i conti Trento hanno giocato un brutto scherzo al grande scienziato loro ospite (il che la dice lunga sul buon gusto e sul senso di ospitalità di questi nobilotti vicentini di provincia). A testimoniare questo fatto increscioso ci sono due lettere dello stesso Galileo che si lamenta dei dolori contratti durante la vacanza vicentina. L’attore Pino Costalunga            ne ha tratto un gustoso lavoretto teatrale dal titolo: “Galileo e l’aria di Costozza”. L’artrite galileiana è un episodio ricordato da altri autori, come testimoniano gli studi di Gino Panizzoni, uno dei proprietari di villa Trento, oggi Carli. Ne parla per esempio Antonio Favero, grande studioso ottocentesco di Galilei. E prima di lui Vincenzo Viviani, ultimo discepolo del grande maestro. Cosa sia successo esattamente quella sera nella villa Aeolia è difficile stabilirlo. Probabilmente si svolse una festa alla quale parteciparono molte persone di alto lignaggio, parecchi si ubriacarono, forse anche Galileo che, come Catone e Orazio, non disdegnava “l’obliviosum merum” e il “soave licor” di Bacco. Anche lo Zanella rappresenta, in una sua splendida ode saffica, un contadino che bevendo al caldo del focolare, d’inverno, il succo della “poverella vite” s’addormenta e sogna contento “floridi paschi e aure biade”. Che sia stato uno scherzo o no, quello incorso a Galileo, oppure un modo per rinfrescare la sala e gli animi accalorati dall’effetto del vino, fatto sta che l’aria fatta sopraggiungere all’improvviso dai ventidotti rovinò la festa e la salute a molti. Viviani parla di “due ore di vento artificioso che provocò gravissime infermità” agli ospiti della villa. E c’era poco da scherzare se lo stesso precisa: “uno morì in pochi giorni, un altro perdette l’udito e Galileo ne covò la suddetta indisposizione da cui non potè mai liberarsi”. Altri documenti            provengono dalle lettere dei figli di Galileo. Suor Maria Celeste Galilei ricorda che suo padre “fu tormentato da malanni acquistati dai ventidotti di Costozza”. Vincenzo Galilei conferma che il padre “a 40 anni anni si ammalò di artrite” (ma nel 1593 aveva solo 30 anni). Il prof. William Shea, massimo esperto di Galileo, conferma il fatto storico, anche se non si ritiene che i ventidotti di Costozza siamo una causa diretta della malattia. “L’artrite – precisa lo studioso – sopravvenne con l’età”. Di Lorenzo non manca di darci la sua documentata versione: “Galileo si ubriacò dai conti Trento, dormì al freddo, provocato dall’aria che giungeva dalle grotte di Costozza, tramite i ventidotti, ed ebbe dei dolori muscolari al risveglio. Con il tempo, e la vecchiaia, collegò la sopravvenuta artrite al ricordo di quella dormita al freddo”.

 

                                                                                                Gianni Giolo